“Quando” il nuovo film di Walter Veltroni che si e ci interroga sul valore della memoria

Si è addormentato tra le bandiere rosse e si è risvegliato tra le pareti bianche di un ospedale cattolico in un mondo totalmente cambiato e privo dei solidi punti fermi della sua intera esistenza. Comincia sulle note dell’Internazionale, che canticchia mentre riapre gli occhi dopo 31 anni di coma, la seconda vita di Giovanni Piovasco (magistralmente interpretato da Neri Marcoré), il protagonista di “Quando”, il nuovo film di Walter Veltroni – tratto dall’omonimo libro omonimo dello stesso autore edito da Rizzoli nel 2017 – presentato in anteprima alla quattordicesima edizione del Bif&st – Bari International Film&Tv Festival (un omaggio – come spiega l’ex sindaco di Roma – al regista Ettore Scola, «una delle persone a cui ho voluto più bene, per questo ho pensato che questo film fosse giusto qui in quello che era il suo festival») e nelle sale dal 30 marzo con Vision Distribution. La prima era entrata “in pausa” nell’estate del 1984 quando in Piazza San Giovanni, durante i funerali di Enrico Berlinguer, appena diciottenne viene colpito accidentalmente alla testa dal bastone di uno striscione.

Quello di Giovanni è stato per tre decenni il tempo dell’assenza in cui il resto del mondo – compreso il suo corpo – continuava senza sosta ad andare avanti ma non la sua mente, i suoi ricordi e i suoi sogni. Il risveglio è ovviamente traumatico. Il mondo in sua assenza è cambiato: non siamo più negli anni Ottanta. Non ci sono più la lira, l’URSS, il muro di Berlino, il PCI e la DC. Berlusconi («ma chi, quello delle televisioni?») è stato presidente del Milan e poi del Consiglio dei Ministri, al posto della Libreria Rinascita oggi c’è un supermercato e Botteghe Oscure è solo un vecchio palazzo e non più «il centro di tutto». E non c’è più nemmeno Flavia (Olivia Corsini), la sua amata fidanzata dell’epoca. Gli avvenimenti che Giovanni ha perso nei lunghi anni di coma, infatti, non sono solo storici, politici e sociali ma anche strettamente personali: cosa ne è stato della sua amata, dei suoi genitori e dei suoi amici? Come sono andate avanti le loro esistenze mentre la sua era in stand-by?

Ad aiutarlo nel processo di riscoperta (o, come dirà lui stesso, a “ri-metterlo al mondo”) e a fargli da guida in questo mondo totalmente nuovo per lui ci saranno suor Giulia (Valeria Solarino), che si è presa cura di lui per anni anche durante la degenza, e Leo (interpretato poeticamente da Fabrizio Ciavoni), un giovane affetto da mutismo selettivo che conoscerà nella clinica in cui fa la riabilitazione. È uno scambio intenso e a tratti esilarante quello con il giovane, che con lui parla perché in lui rivede molte sue fragilità: Giovanni ha perso la parola per 31 anni dopo averne pronunciate tante anche per via del suo impegno politico. Leo, invece, a 18 anni ha la sensazione che nessuno lo ascolti. Sono a loro modo due diciottenni che trovano il loro linguaggio e il loro modo di parlare e capirsi. A Leo, oltre a quello di confrontarsi con il mondo per lui ignoto dei ricordi di Giovanni, spetta l’ingrato compito di far scoprire al “risvegliato”, anche attraverso il mondo della tecnologia e dei social, quanto avvenuto in questi ultimi tre decenni. Anche lo spettatore, attraverso lo sguardo ingenuo di un diciottenne che si risveglia nel corpo di un uomo ormai adulto, ri-scopre come è cambiato il mondo in questi anni, non avendone davvero una piena consapevolezza pur avendolo vissuto.

Lo spaesamento e le difficoltà dopo un lungo “sonno” non rappresentano argomenti nuovi per il cinema, italiano e non. Etichettato come il “Good Bye, Lenin!” all’italiana (con la non trascurabile differenza che il protagonista stavolta non viene tenuto all’oscuro di quanto avvenuto in sua assenza), il nuovo lavoro di Walter Veltroni allarga la sensazione di smarrimento di fronte al tempo che passa, quasi a travolgerci senza la nostra volontà e reale partecipazione, dal personale al generazionale e sociale. In maniera leggera, seppur didascalica, “Quando”si interroga e ci interroga sul valore della memoria come strumento per comprendere il passato e per guardare con più fiducia al futuro, anche dal punto di vista dei rapporti umani sempre più complicati nonostante il moltiplicarsi di mezzi di comunicazione.

Nel film si alternano momenti di riflessione e di ilarità grazie anche ai contributi, tra gli altri (il cast annovera la presenza di Gianmarco Tognazzi, Dharma Mangia Woods, Ninni Bruschetta, Anita Zagaria, Elena Di Cioccio, Carlotta Gamba, Luca Maria Vanuccini e la partecipazione di Massimiliano Bruno, Andrea Salerno, Luca Vendruscolo, Pierluigi Battista e Renato De Angelis) di Michele Foresta e Stefano Fresi che, seppur con un piccolo cameo, regalano ulteriore leggerezza al film. Magistrale la scena al ristorante proprio tra Marcoré e Fresi nei panni di un cameriere intento ad elencare i piatti del menù con termini assolutamente incomprensibili per il povero Giovanni (ma anche, ammettiamolo, per tutti noi) che vorrebbe una semplice carbonara almeno quanto vorrebbe tornare a quel mondo e a quella realtà semplice dei suoi diciotto anni in cui non c’erano i social e le avveniristiche tecnologie ma c’era posto per le idee, gli ideali e la comunità fatta di quei singoli che con il sogno di un mondo meno sbilenco e con meno ingiustizie e differenze sociali.

Quella di Giovanni è allo stesso tempo la storia di un dramma, di una vita che si cristallizza ancora giovanissima ma anche di una rinascita, di un ritorno al mondo con lo sguardo libero di un diciottenne che guarda alle cose con un candore e un’obiettività che noi, che le abbiamo vissute in prima persona, abbiamo perso essendone stati travolti. «Ho cercato di raccontare questa storia, tratta da un mio libro, intrecciando il percorso della comprensione di un mondo caotico e così diverso dal passato, dei mutamenti politici e tecnologici con quello della ricerca di affetti consumati dal tempo. Può essere una fiaba. Forse è un modo per parlare di questo tempo e di noi, oggi», spiega Veltroni.

Giovanni rappresenta una sorta di ago della bilancia tra un passato che non c’è più e un presente figlio di quel passato. Sostenendo con un trentennio di ritardo quell’esame di maturità per cui aveva studiato così tanto, si troverà a fare lui stesso un esame al mondo che in sua assenza è andato in una direzione, almeno apparentemente, tanto lontana da quella per cui da ragazzo si batteva. Un esame che non termina con una bocciatura ma bensì con una riflessione matura ed aperta sul tempo non come un’entità circolare ma come una striscia in cui si può correre tenendo, però, sempre presente gli ideali e i valori di solidarietà e non egoismo, di partecipazione solidale e consapevole alla comunità degli esseri umani.

Più che per un’ “operazione nostalgia” o un elogio retorico del “com’eravamo”, “Quando” cerca e reclama una speranza nel futuro da raggiungere con una maggiore consapevolezza di quello che è stato il passato. Speranza e ottimismo che passano attraverso gli occhi delle nuove generazioni – rappresentati nel film da Leo e Francesca (Dharma Mangia Woods) ma anche, in un certo senso, da Giovanni, Flavia e Tommaso (Gianmarco Tognazzi) da ragazzi – che possono a loro volta divenire artefici del cambiamento. A precisarlo è lo stesso regista che, nelle interviste a margine della presentazione del film al Bif&st 2023, ha dichiarato: «sono stato segretario di due partiti (DS e PD) che sono venuti dopo il PCI ma in questo film non c’è spazio per la nostalgia. C’è solo un sentimento personale. L’unica nostalgia esplicita si ha nella scena in cui Giovanni torna in sezione, dove si dice una frase importante: “le ideologie erano sbagliate, gli ideali no”. Ho nostalgia solo di quella meravigliosa luminosità di essere umani organizzati. Erano anni in cui si stava bene insieme perché si sentiva di stare dalla stessa parte. Per il resto non è vero che tutto è finito, tutto peggiorerà e che siamo pronti alla fine del mondo. Non è vero che finiremo per arredare il tunnel a furia di starci dentro. Credo che una luce fuori ci sia sempre». Un invito a guardare con tenerezza, commuovendosi o sorridendo, la fotografia ingiallita del passato ma anche, e soprattutto, a metterla da parte con coraggio per guardare a dove stiamo andando, senza chiudere gli occhi ma essendo ben coscienti di chi siamo e di chi vorremmo essere. Come individui e come società.

Di Valentina Ersilia Matrascìa

Foto di Chiara Calabrò


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