L’umanità sprecata

Non rimane che riflettere, riflettere seriamente e decidere da che parte stare.
Non basta più l’ipocrisia intrisa di buonismo e non serve più, anche perché non è mai servita, una politica farcita di ignoranza e priva di ogni forma di umanità. Serve un nuovo paradigma politico dove seriamente vengano declinati i verbi e le parole giuste per formare un domani migliore allargando i confini del nostro Io e del nostro Paese.
Serve una politica che non usi le tragedie, che non usi i migranti per fare campagna elettorale ma faccia i conti con i numeri. Siamo pochi, ci hanno messo in una condizione economica così difficile che in Italia non si fanno più figli, non ci saranno gli uomini del domani.
Un flusso regolare di persone che entra e che con programmi pensati venga definito italiano potrebbe essere l’Italia di domani e ci renderebbe un paese civile e un paese inclusivo.
Invece nelle campagne elettorali dei nostri politici le parole inclusione, lavoro, futuro, green non sono state nemmeno sfiorate. Anzi i migranti sono stati cavalli di battaglia per diffondere l’odio. Ma, un Paese civile, i cui cittadini per anni hanno affollato le navi dirette in America, in Brasile, in Argentina e non certo in prima classe, per poi passare al nord Europa, un Paese civile i cui cittadini sono andati per il mondo a cercare fortuna e non sempre hanno portato la pizza e il mandolino ma anche la mafia e la criminalità organizzata, un Paese civile dovrebbe avere il dovere di ricordare chi siamo stati e non raccogliere sulle spiagge di una cittadina del sud le macerie di quei tanti migranti, che qualcuno ha definito qualche mese fa carico residuale. Le macerie di quelle anime che hanno smarrito il proprio corpo ad un passo dalla salvezza dovrebbero essere le nostre macerie.
La vita di chi non ce l’ha fatta raccontata da oggetti personali impigliati tra la sabbia e le onde, quelle onde che con violenza hanno fatto naufragare per sempre la loro speranza dovrebbe essere lo scossone all’interno dei ministeri.
La speranza, il sogno di una vita lontana dal rumore delle bombe.
Un futuro migliore per i loro figli, ecco perché si parte. Le persone che hanno deciso di intraprendere quel viaggio non sono partite da un’isola felice.
Scappano dalla guerra, dalla fame, dai diritti negati.
E quelle persone su quel barcone erano uomini, donne, bambini, ragazzi partiti con il cuore gonfio di speranza ma proprio lì a poche miglia dalla riva hanno trovato le onde alte che hanno cancellato per sempre i loro sogni e le loro speranze.
A noi rimane un palazzetto dello sport pieno di bare e di dolore in una città del sud, la mia Crotone, che nella tragedia più disumana ha dimostrato umanità e civiltà, quella civiltà che dovrebbe essere alla base di una politica degna di questo nome.
Ma non servirà nemmeno questa tragedia a scomodare le coscienze di chi da una parte e dall’altra stringe come in una morsa i Paesi bombardati da anni di guerra, dove manca l’acqua, il cibo, l’istruzione e da dove ogni madre vorrebbe far scappare il proprio figlio.
Non servirà, finché qualcuno ancora potrà permettersi di dire: non sarebbero dovuti partire.

di Alessandra Turco


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